Premessa
Qualcuno ha sostenuto che la politica è una prosecuzione, non cruenta, della guerra. Un’affermazione tanto forte quanto percepita dall’esterno se messa il relazione a cosa è accaduto nell’ultimo anno all’interno della Federazione provinciale dei Verdi di Forlì-Cesena.
A chi è giovato questo stato di conflittualità , se di conflittualità può parlarsi?
E’ anche a causa di questa rappresentazione tragicomica se in questo ultimo anno si è perso il senso di cosa dovrebbe essere un partito come quello dei Verdi. Un partito, minuscolo, che si autodefinisce ecologista, nel senso ampio del termine, con al proprio interno una varietà di individui dalle esperienze più disparate sarebbe tenuto ad essere gruppo che genera opinioni, che crea dibattito nelle città dove è presente, che propone, se è il caso, iniziative provocatorie, ironiche, che sovvertano l’ordine immaginario delle cose. Come, ad esempio, quella formulata da Marco Paci del WWF, durante l’incontro pubblico del 07/10/2005. Ha proposto, se occorrerà , a fronte dell’abuso di potere perpetrato dai nostri amministratori, di occupare pacificamente il sito che dovrebbe ospitare la nuova linea dell’inceneritore. In pratica propone un’azione fuori dai riti istituzionali, credibile e soprattutto verificabile da ognuno. L’immaginario vuole che il cittadino si muova solo dentro un percorso di delega, la proposta di Marco, quando realizzata, dimostrerà il contrario, che si può perseguire l’azione diretta, invertendo l’ordine delle cose.
Sta mancando quel senso di originalità e vivacità nel fare politica, intesa come proposta di sociale. Si rincorrono gli eventi, oltretutto accodandosi ad altri.
Scarsa qualità del materiale umano o un effetto dell’organicità alle Giunte?
Forse è molto più urgente di quanto si creda avviare un dibattito interno sul senso del partito anziché arrovellarsi su sé stessi, contarsi e creare fazioni.
Nell’attesa che questa definizione interna si faccia, o meglio si voglia fare, vi propongo due iniziative di ecologia sociale. Sono rivolte, naturalmente, agli iscritti interessati.
Proposte
La prima è estremamente provocatoria: dedicare un albero monumentale ai disertori.
Perché un monumento al disertore?
Potremmo semplicemente rispondere dicendo che piccoli gesti simbolici aiutano a dare concretezza a pratiche di cultura antimilitarista ma soprattutto aiutano a rompere un immaginario bellico che sta permeando le nostre civiltà .
Questa è una iniziativa che, volendo partire dal valore storico della diserzione, ci aiuti a riflettere sulla riproducibilità nella società della cultura di guerra e magari riapra un dibattito su pace e non violenza. Penso siano valori inscindibili l’uno dall’altro. Vogliamo credere che solo l’ingenuità porti alcuni pacifisti non violenti a non considerarsi anche antimilitaristi. Diversamente, ritenere comunque utile la funzione di un qualsiasi esercito, porta ad un cortocircuito logico che finisce per legittimare le “guerre umanitarie”.
Perché partire dal disertore? Perché le sue gesta sono le più demistificate dall’istituzione militare, perché di lui si è sottolineata solo la vigliaccheria temendo sempre che se fosse stato emulato, rendendo il fenomeno di massa, avrebbe anche potuto rendere sterile la più infame delle azioni: la guerra. Ed anche perché solo raramente è stato possibile far emergere il pensiero critico che animava il disertore oppure il semplice atto di saggezza rivolto alla salvaguardia di se stessi, e degli altri, di fronte ad azioni distruttive di cui non ne riconosceva un senso. Oggi celebrare il disertore riguarda non solo i militari in fuga (l’esercito USA in IRAQ conta già più di 5.000 disertori- fonte l’Espresso del 19/05/2005) quanto noi civili, esortati a credere a guerre sempre più necessarie, esortati a legittimarle.
Quindi invertire l’ordine ed onorare chi si ribella ad un ordine bellico, se si tratta di militare, oppure rescinde un contratto di lavoro, se si tratta di un contractor (leggi mercenario), anche per rivalutare l’umanità che c’è dietro la divisa a fronte della strumentalità con cui si continua a celebrarli.
La seconda è stata suggerita da un recente intervento di Antonio Morgagni in merito al problema della mobilità . Anche in questo caso si tratta di invertire l’ordine dell’immaginario collettivo che vede nell’auto strumento di libertà . Le proposte di Antonio, per quanto pragmatiche, non intaccano minimamente quell’idea, falsa, di libertà . Quindi riprendere la pratica dalla critical mass, ciclisti che si riappropriano della strada. Pratica, intesa metaforicamente, come riappropriazione ad una vita più lenta, più ecologicamente sostenibile.
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