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Abbassa da solo la pressione”
(Corriere Salute – 9 maggio 2004)
Uno studio giapponese, che ha riesaminato 22 studi clinici (oltre 900 pazienti) svolti in più di 30 anni, dimostra la reale efficacia del biofeedback nel ridurre la pressione nelle persone che soffrono di ipertensione essenziale. La ricerca è stata pubblicata su Hypertension Research. I risultati si rivelano duraturi nel tempo e capaci, in buona parte dei casi, di ridurre i dosaggi dei farmaci anti-ipertensivi e anche di eliminare l’impiego dei medicinali. Le riduzioni pressorie sono notevoli: da 20 a 30% e si ottengono con 8-10 sedute.

“Dalla farina dei pizzoccheri un freno al diabete”
(la Repubblica Salute – 6 maggio 2004)
Studi sperimentali hanno evidenziato che il grano saraceno fa diminuire la glicemia anche del 19%. Una ricerca condotta dall’Università  di Manitoba (Canada) sostiene che, pur non curando il diabete, l’introduzione di questo tipo di grano nell’alimentazione, potrebbe rappresentare un metodo sicuro, facile ed economico per diminuire il livello glicemico nel sangue, riducendo quindi il rischio di complicanze. Sono comunque necessarie ulteriori conferme. Il d-chiro-inositolo è la sostanza implicata nel metabolismo degli zuccheri che potrebbe rendere le cellule più sensibili all’insulina.

“Un po’ di spezie in mente”
(Corriere Salute – 9 maggio 2004)
Ricercatori dell’Università  di Catania, in collaborazione con il New York Medical College, ritengono che mangiare curry qualche volta al mese aiuta il cervello a restare giovane. La curcuma è la sostanza capace di attivare un enzima che protegge i neuroni dall’ossidazione. Studiosi del Wheeling Jesuit University (USA) sostengono che la cannella, inspirata durante la masticazione attraverso le vie retronasali, migliora la memoria, la capacità  di attenzione e la rapidità  di risposta.

“Ictus, i casi raddoppiano nei licenziati”
(la Repubblica Salute – 20 maggio 2004)
Una ricerca condotta dall’Università  di Yale (USA), utilizzando le schede sanitarie raccolte dal Health and Retirement Study riguardanti lo stato di salute dei lavoratori in pensione, ha selezionato i dati di 3.763 persone, nate tra il ’31 e il ’41 e andate in pensione al regolare termine di legge o in anticipo (volontariamente), e li ha confrontati con quelli di 457 coetanei licenziati o costretti alla pensione anticipata. L’incidenza di infarto non mostra sensibili differenze tra i due gruppi nei 6 anni successivi all’uscita dal mondo del lavoro. Il numero di ictus risulta invece doppio tra i licenziati.

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“Aterosclerosi messa a freno”
(Corriere Salute – 25 aprile 2004)
La meditazione può ridurre o rallentare la progressione della malattia aterosclerotica. ‘Studi dell’Associazione dei cardiologi americani’ mostrano il ruolo della meditazione nel determinare, anche in anziani, una riduzione dello spessore della parete delle carotidi e, qiuindi, del loro restringimento. Gli stessi risultati, relativi però all’aterosclerosi delle coronarie, sono stati descritti in passato su Lancet e Jama in uno studio in cui i cardiopatici sottoposti a meditazione, esercizio fisico e dieta vegetariana presentavano un numero di episodi anginosi nettamente inferiori al gruppo dei pazienti che seguivano solo dieta e trattamento farmacologico.

Dedicarsi a tecniche meditative aumenta attenzione, concentrazione, memoria. Vari studi hanno, infatti, dimostrato che le onde teta (a bassa frequenza) e le gamma (ad alta frequenza) in chi medita compaiono in distretti diversi del cervello in rapporto alle diverse fasi della meditazione. In situazioni di stress si verifica un’alterazione del ritmo di funzionamento di aree celebrale lontane tra loro, come l’area del linguaggio, quella visiva, uditiva, motrice; con la meditazione, invece, le onde gamma si propagano nelle varie aree del cervello, grazie all’imput delle onde teta, e le mettono a loro volta ‘in fase’, cioè le rendono capaci di funzionare con lo stesso ritmo, migliorando le performances celebrali.

“Il Ritalin ritarda la crescita corporea”
(la Repubblica Salute – 22 aprile 2004)
Una ricerca pubblicata su Pediatrics ha constatato che i bambini in cura con il Ritalin sono, in media, oltre un centimentro più bassi di quelli a cui non viene dato. Il farmaco è utilizzato nel trattamento della ‘sindrome da deficit di attenzione’ o del ‘bambino iperattivo’, il più diffuso disturbo del comportamento dell’infanzia, che colpisce tra il 4 e il 12% dei bambini in età  scolare negli Usa.

“Protegge dalle malattie”
(Viversani & belli – 7 maggio 2004)
Il burro sembra in grado di rinforzare il sistema immunitario e di proteggere dalle malattie cardiache, grazie alla presenza di sostanze con proprietà  antiossidanti: vitamina A, colesterolo, acidi grassi a catena corta e media. Alcuni studi hanno rilevato che i bimbi nati da madri carenti di vitamina A presentavano più spesso anomalie al cuore e alle arterie. Una ricerca condotta dal Medical Research Council ha dimostrato che gli uomini che consumano burro rischiano due volte di meno di avere malattie cardiache rispetto a coloro che utilizzano la margarina vegetale, che non contiene colesterolo.

“Due riviste online sfidano gli editori”
(Panorama – 6 maggio 2004)
Due riviste scientifiche online con lo scopo di velocizzare la pubblicazione di articoli e renderli accessibili senza la necessità  di sottoscrivere un abbonamento: Plos Biology (Public library of science, www.plosbiology.org) e Plos Medicine (www.plosmedicine.org).

IL TE’ DELLA MEMORIA.
Il te della memoria
La bevanda conosciuta da millenni potrebbe rivelarsi utile nel contrastare la malattia di Alzheimer attraverso un sofisticato gioco di enzimi

“Alzheimer: un aiuto dal tè”
(Corriere Salute – 21 novembre 2004)
Ricercatori dell’Università  di Newcastle hanno scoperto che il tè verde e quello nero inibiscono l’attività  di enzimi che distruggono l’acetilcolina, neurotrasmettitore che si trova in quantità  ridotte nei malati di Alzheimer. In particolare, bloccano la butirrilcolinesterasi, che si trova nei depositi amiloidi cerebrali tipici dell’Alzheimer. Il tè verde si è dimostrato efficace anche contro la beta-secretasi, che ha un ruolo importante nella formazione di tali depositi.

Leucemia infantile: allattamento al seno riduce il rischio

L’allattamento al seno, anche per pochi mesi, può diminuire il rischio di leucemia linfoblastica acuta (ALL). I bambini allattati al seno per almeno 6 mesi riportano infatti una riduzione del rischio di ALL del 24%. L’allattamento al seno è connesso anche ad una riduzione del 15% nel rischio di leucemia mieloblastica acuta (AML). Anche l’allattamento al seno per periodi inferiori ai 6 mesi risulta protettivo contro entrambi i tipi di leucemia, ma in misura minore. In passato, studi precedenti in materia avevano portato a risultati conflittuali. D’altro canto, l’allattamento al seno diminuisce il rischio delle comuni infezioni infantili, il che può spiegare la connessione alla diminuzione del rischio di leucemia. Altri ricercatori hanno teorizzato che una rara ed anomala risposta ad un’infezione neonatale possa svolgere un ruolo nella ALL: in bambini con aberrazioni genetiche che li predispongono alla malattia, tale risposta immune anomala potrebbe agire da evento promotore secondario che scatena la malattia. Il fatto che l’allattamento al seno protegga anche dalla AML non era stato anticipato sul piano biologico: è possibile che un meccanismo immunitario separato sia alla base di questa correlazione, ma sono necessari ulteriori studi per accertarlo. Le donne che non hanno allattato al seno non dovrebbero comunque preoccuparsi di aver esposto i propri figli ad un maggior rischio tumorale: lo studio suggerisce piuttosto che la diminuzione del rischio di leucemia potrebbe essere qualcosa da aggiungere alla lista dei potenziali benefici dell’allattamento al seno. (Public Health Rep 2004;119:521-535)

“Psicoterapia efficace contro le ricadute della depressione”
(Corriere Salute – 28 novembre 2004)
Uno studio, condotto dall’Università  di Bologna e pubblicato dall’American Journal of Psychiatry, ha coinvolto 40 individui che soffrivano di depressione ricorrente trattati con successo tramite antidepressivi. Mentre la terapia con questi medicinali veniva gradualmente ridotta e poi sospesa, i pazienti sono stati suddivisi in 2 gruppi: uno è stato seguito dallo specialista, come di consueto; l’altro ha iniziato un breve ciclo di psicoterapia cognitivo-comportamentale. Nei 6 anni successivi solo il 40% dei soggetti trattati con la psicoterapia ha avuto recidive, rispetto al 90% dell’altro gruppo.

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